Editoriali — 12 Gennaio 2015
Cosa avevano in comune gli storici inverni 1928-29, 1955-56, 1984-85 piuttosto che quelli un po’ più recenti del 1992-93, del 2005-06 o il 2011-12? Certo tutti quanti hanno portato sull’Italia un gran freddo e neve più o meno abbondante ma non solo.Se andiamo a scartabellare mappe e statistica d’archivio, salta inevitabilmente all’occhio una combinazione di indici meteo-climatici sorprendentemente simile e ricorrente che ci permette senz’altro di stilare il pattern (modello) tipico che mette il nostro “generale” in condizioni di sfoggiare il suo miglior repertorio. Abbiamo osservato inoltre che il terreno di coltura per un vero inverno viene preparato nel “backstage” mesi addietro e già in autunno le temperature superficiali degli oceani dovrebbero presentare ben precise anomalie (SSTA).In Atlantico la configurazione tipo vede l’area scandinava e le coste occidentali europee bagnate da acque più fredde della norma. Ciò getta il seme per la successiva formazione di un anticiclone via via più performante sulla Scandinavia, la cui importanza sta nel deviare la Corrente a Getto Polare verso il Mediterraneo facendola scorrere sul continente senza permetterle dunque di ricevere influenza dall’azione mitigatrice dell’oceano. Altro elemento tangibile, conseguente a quanto qui descritto, sarebbe l’innevamento del continente, che favorirebbe la saldatura tra l’alta scandinava  quella russa, tale da costituire un canale di freddo proiettato dal comparto siberiano fin sul cuore dell’Europa, sino al Mediterraneo. Il cosiddetto Buran.

Nel settore nord-occidentale dell’Atlantico risultano determinanti acque più calde nel mare del Labrador e più fredde in quelle poste a sud di Terranova. Questa disposizione, oltre a modificare a sua volta l’uscita del getto dal continente nord-americano, favorisce lo schema di NAO negativa. Se la NAO (oscillazione della pressione ai due capi dell’Atlantico) diventa negativa le perturbazioni riescono ad entrare più decise sul Mediterraneo, soprattutto se vi trovano acque più fredde (SSTA-).

Passando all’oceano Pacifico risulta senz’altro determinante l’azione dell’ENSO. Ricordiamo che il Nino (o la Nina) indicano acque più calde (o più fredde) della norma al largo di Perù ed Ecuador. In particolare tutti gli inverni gelidi mostrano una Nina di moderata intensità, con maggiore concentrazione di acque fredde nel settore orientale del Pacifico (Nina East).

Decisive anche acque tropicali mediamente più fredde del normale, a parte il settore del Pacifico occidentale. Questa piscina calda infatti favorisce l’innesco della MJO (Madden Julian Osillation, indice della convettività tropicale) e la limita alle fasi 6-7-8, ossia quelle più indicate a mantenere lontani da noi gli anticicloni subtropicali.

Non dimentichiamoci la premiata ditta QBO negativa e minimo solare oppure QBO positiva e massimo solare. Ricordiamo che la QBO indica l’oscillazione biennale dei venti stratosferici, orientali nella fase negativa, occidentali in quella positiva.

 Tutto questo cosa ci suggerisce riguardo la situazione attuale? Scartata la combinazione completa di tutto quanto sopra esposto, ci rimangono indici che propongono forzanti favorevoli ad un inverno che, prima o poi ce la può fare, e altri che invece lo negano fin d’ora. Tra quelli favorevoli menzioniamo le condizioni delle acque nord-atlantiche (tripolo), la disposizione dei venti stratosferici (QBO), lo stato complessivo dell’attività solare.
Tra quelli sfavorevoli lo stato dell’ENSO (fase neutra tendente a Nino debole), le condizioni delle temperature superficiali del Pacifico e lo stato di innevamento continentale europeo. Insomma, come vedete, la statistica meteo-climatica nega l’inverno storico o “epocale” per dirla con il linguaggio poco scientifico ultimamente in voga. Non nega però la partenza di un inverno normale che, a conti fatti, è ciò di cui tutto e tutti abbiamo bisogno.
Luca Angelini

 

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