Ambiente, territorio & dissesti — 11 Settembre 2013

Segnaliamo l’articolo dell’amico Alberto Zoratti (@Alberto_Zoratti) pubblicato qui di seguito, per diffondere i dubbi che già prima del Gran Premio abbiamo condiviso con Alberto stesso: dubbi riguardo l’azione di compensazione delle emissioni di CO2 collegate al Gran Premio di Monza svolto la scorsa domenica, su cui la minuziosa e precisa indagine di Alberto porta a dubitare.Il dubbio sui dubbi è: hanno fatto un concorso per dar il nome di un campione agli alberi……ma gli alberi ci sono davvero?

Gradiremmo risposte da Aci e da Ecostore, la quale ha sostenuto questa campagna creando persino un sito web dedicato nell’ambito del concorso per dare il nome del campione agli alberi (dovunque essi siano: per la cronaca, ha vinto il concorso lo storico Ayrton Senna!).

Gradiremmo risposte perchè c’è gente che quotidianamente si impegna per contrastare il cambiamento climatico, spesso con fatica e difficoltà, credendo nella necessità di una concreta “azione” di contrasto al climate change e di “informazione” sui rischi climatici verso Cittadini, PA ed Aziende……e azioni non corrette non fanno bene a questo impegno.

Gradiremmo risposte perchè il cambiamento climatico è un problema troppo serio per essere usato solo per campagne di comunicazione e di immagine (tanto se lasciano più di un dubbio circa il loro reale valore ambientale!).

Ma lasciamo la parola ad Alberto Zoratti, ringraziandolo per il suo puntuale lavoro di indagine.

PV
Qui di seguito il suo scritto
“E’ la prima corsa automobilistica ad emissioni zero”. Stiamo parlando del Gran premio di Monza, uno dei circuiti mondiali che prima e meglio ha costruito e alimentato il mito dei supereroi della Formula Uno. Sul podio del Gran Premio d’Italia sono saliti tutti, da Tazio Nuvolari a Sebastian Vettel, passando per Manuel Fangio, Ayrton Senna, Niki Lauda, Michael Schumacher. Nei primi anni del Campionato mondiale della Formula Uno, quella di Monza era la gara più prestigiosa, quella che concludeva l’intera competizione. Sessant’anni dopo, da Monza annunciano un nuovo primato, naturalmente al passo con le sensibilità radicalmente trasformate del nuovo millennio.

Con un accordo siglato il 25 luglio scorso tra l’Automobile Club d’Italia ed Ecostore, nota catena di prodotti per la stampa, toner, cartucce rigenerate etc., “le 12mila tonnellate di CO2 emesse dal Circus di Formula 1 durante il Gran Premio d’Italia verranno compensate con 10mila alberi in Alaska e Madagascar” secondo gli standard del Protocollo di Kyoto. Un progetto che permetterà di compensare non solo le emissioni delle roboanti monoposto, ma addirittura “quelle dei motorhome e dei veicoli tecnici dei team per il raggiungimento dell’autodromo brianzolo”.

Un’operazione “patrocinata dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare”, che ha visto in conferenza stampa la presenza persino del Questore della Camera dei Deputati, l’on. Stefano Dambruoso. “Un progetto apripista”, secondo i responsabili della comunicazione di Ecostore. In effetti, la visibilità ottenuta e l’impatto mediatico derivante dal collegamento tra la tutela dell’ambiente e il profilo dei promotori con lo storico autodromo lombardo, sono stati significativi. “Alberi e campioni”, insomma. Esattamente come il titolo del sondaggio sul sito ACI che per più di un mese ha offerto la possibilità a qualsiasi appassionato di Formula 1 col pallino per l’ambiente di mettere il nome del campione preferito su uno dei 10mila alberi piantati “nel rispetto del meccanismo di Joint Implementation previsto dal Protocollo di Kyoto”.

Ed è stato proprio da qui, dal concorso lanciato da ACI e sostenuto da Ecostore e dalle informazioni fatte circolare dai promotori, che è nata la voglia di capire meglio, di approfondire un po’. Si tratta di progetti di Joint Implementation o di cos’altro?

Le operazioni di compensazione di CO2 non sono mai cosa semplice. Presuppongono, come ogni progetto che si rispetti e che coinvolga quantità fisiche (in questo caso tonnellate di gas, ettari di terreno, numeri di alberi), modalità di verifica e monitoraggio all’altezza della situazione.

Ad oggi, dopo più di un mese di contatti, verifiche, ricerche, Comune-info non è in grado di ricostruire una filiera dell’informazione completa ed esaustiva sul progetto di compensazione del Gran Premio di Monza. Nonostante i ripetuti tentativi di ottenere informazioni più dettagliate dai diretti interessati, quello che ad oggi è emerso è uno scenario ancora più incerto. Come sia possibile, in questo quadro di incertezza, garantire che ci sia un reale contributo alla lotta al cambiamento climatico, e non una semplice operazione di Green marketing, e che il nome di Nelson Piquet finisca sull’alberello che nostro figlio ha scelto, rimane un mistero tra i misteri.

Vediamo invece cosa siamo riusciti ad appurare e a capire.

Joint Implementation: meccanismo flessibile. Non per tutti.

Secondo le informazioni che Ecostore ci ha inviato, “i progetti sottostanti i certificati donati da Eco Store non rientrano nel Clean Development Mechanism, bensì nel Joint Implementation”1.

Qui emerge, dunque, un primo elemento degno di analisi. Com’è possibile che si tratti di Joint Implementation dal momento che la forestazione viene fatta, almeno secondo le prime dichiarazioni, in Alaska (uno degli Stati Uniti d’America, che non hanno firmato il Protocollo) e in Madagascar (che non fa parte dei Paesi Annex 1, quindi non eleggibili per progetti JI)? Ed anche rimanendo alle modifiche apportate a pchi giorni dal Gran Premio che parlano di “regioni in via di sviluppo” (senza peraltro specificare quali), la Joint Implementation è fuori luogo.

Ma tenendo fede all’informazione e alle interviste iniziali, che parlavano di Madagascar ed Alaska, le conferme non arrivano. A scorrere l’elenco ufficiale dei progetti JI sul sito dell’UNFCCC2 non si trova alcuna traccia di progetti in quelle zone. Tutto può accadere, certo, qualche svista capita a chiunque. Per questo abbiamo deciso pazientemente di contattare i diretti interessati, in Alaska. Da Anchorage, il Department of Natural Resources, della Division of Forestry dello Stato dell’Alaska, per bocca del suo Direttore e State forester John “Chris” Maisch, spiega: “Ho verificato con lo staff in diverse zone dello Stato. Nessuno è al corrente di progetti come questo”. L’Alaska è un paese molto grande però, aggiunge Maisch, “ci sono molti proprietari privati, principalmente organizzazioni di Nativi, che potrebbero avere siglato un accordo di questo tipo. Non c’è l’obbligo di registrare progetti come questo qui da noi. Un venditore e un acquirente volenterosi potrebbero sviluppare un progetto come questo senza che noi ne veniamo a conoscenza”. Insomma, dopo il successo di Joe the Plumber durante la campagna elettorale di Obama, il consiglio dello State forester è quello di cercare il “Frank the Farmer” di turno. Operazione impossibile, per lo più basata su accordi volontari e non su Joint Implementation che prevede, anche se in forma differente a seconda del tipo di progetto sviluppato, una qualche forma di monitoraggio indipendente e di valutazione dell’efficacia dell’azione. Resta il fatto che l’Alaska è parte degli Stati Uniti, che non hanno mai firmato il Protocollo.

“L’Alaska non ha un registro di carbon projects, così la certificazione e la verifica sono due aspetti molto importanti dei progetti di carbon offset”. Dopotutto, sebbene sia un’idea interessante, sottolinea Maisch “i dettagli sono importanti. Se stai comperando 100 tonnellate di crediti di carbonio, vuoi essere sicuro di star realmente acquistando 100 tonnellate, no?”.

Tracciabilità, trasparenza ed accreditamento. Sono gli elementi chiave dei progetti di compensazione, sui quali la comunità internazionale stenta ancora a trovare un accordo univoco.

Ma che dire dei 10mila alberi (numero diventato, di punto in bianco, “puramente indicativo”) che compensano le 12mila tonnellate?

“La taglia del progetto è molto modesta” continua John Maisch, considerato che si starebbe parlando di riforestare in Alaska e in Madagascar, ma assumendo che tutte le 10mila piante fossero piantate da qualche parte in Alaska con alcune varietà native “questo occuperebbe dai 25 ai 50 acri di terreno. Come abbiano determinato la quantità di carbonio assorbito per un progetto come questo”, conclude Maisch “è tutta un’altra questione”.

Alberi e campioni

Un ulteriore elemento delicato, in effetti, è quello della riforestazione. Gli alberi non sono tutti uguali e, a seconda delle caratteristiche fisiologiche della pianta e delle condizioni ambientali in cui si trova, possono assorbire più o meno CO2. La mancanza di ulteriori informazioni sulla localizzazione dei progetti e sul tipo di piante utilizzate non permette quindi di capire se la stima comunicata è corretta oppure no. Qualche nuovo elemento di riflessione lo aggiunge Christopher Brandt, Direttore Esecutivo della Climate Concept Foundation, fondazione con sede ad Amburgo, attiva in diversi network internazionali ed europei.

f1-racers_jpg_800x1000_q100Secondo Brandt, 10mila alberi potrebbero essere insufficienti “per compensare le emissioni del gran premio di Formula 1. In Alaska il tasso di crescita è particolarmente lento a causa del clima freddo. E’ improbabile che si possano fissare più di 2 tonnellate di CO2 per acro ogni anno”; in Madagascar (assumendo il fatto che una parte degli alberi siano stati piantati nel Paese africano, come inizialmente indicato da ACI ed Ecostore) “il tasso di crescita è più alto a causa del clima più caldo, ma anche qui è irrealistico pensare a più di 6 tonnellate per acro ogni anno”.

Oltretutto è difficile persino immaginare quanti acri potrebbero essere piantati, perché differiscono molto da specie a specie vegetale. “In ogni caso”, evidenzia Brandt, i numeri sono “stupefacenti. 10mila alberi per 12mila tonnellate di carbonio? Devono essere alberi molto speciali, alberi di cui non ho mai sentito parlare fino ad ora”.

E’ difficile capire esattamente come stiano le cose, in mancanza di un’informazione completa sui progetti di riforestazione, informazione chiesta ripetutamente ai diretti interessati.

La questione della compensazione tramite riforestazione presenta elementi ancora più complessi, come quelli relativi alle emissioni indirette3. Un rischio a cui non sfuggono neppure i progetti più accreditati all’interno del Protocollo di Kyoto.

“Una questione da non sottovalutare” ci ha spiegato Brandt, “è quella relativa alle attività che venivano svolte nell’area riforestata prima dell’avviamento del progetto. Se ci fosse stato, ad esempio, un allevamento di bovini, il suo eventuale spostamento determinerebbe un analogo spostamento delle emissioni correlate. Un fenomeno che dovrebbe essere incluso nel calcolo delle riduzioni delle emissioni dichiarate dalle attività di progetto. Molto spesso” ha concluso “gli effetti indiretti sono molto difficili da valutare. Questo rende molto complessa la valutazione dei benefici ecologici di progetti forestali come questo”.
Fonte: Reteclima.it
http://comune-info.net/2013/09/la-misteriosa-foresta-monza/alonso-webber-n

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