Ambiente, territorio & dissesti — 26 Aprile 2016

In un raggio di 30 km in cui ogni attività umana è bandita per sempre – nessuno può abitarci, coltivare i campi o allevare animali – migliaia di persone lavorano tutti i giorni per 8 ore alla manutenzione della centrale colpita dall’incidente del 26 aprile 1986. “Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant – i dipendenti firmano un foglio in cui si impegnano a seguire le regole di comportamento. Alla fine di ogni anno ci viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato il limite, è colpa tua”. Agenzie turistiche offrono visite guidate e i giovani sognano “resort di lusso” per “attirare più turisti”. Intanto la Bielorussia, il Paese più colpito dagli effetti dell’esplosione, progetta la costruzione del suo primo impianto.

Una piazza enorme sulla quale si affacciano palazzi squadrati, tutti bianchi, tutti uguali. Decine di bambini giocano sulle giostre, tra la piazza e i viali alberati. A un angolo due file di lapidi raccontano la storia di questa città. Una città giovanissima, fondata dopo l’esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina. Siamo a Slavutich, nel nord del Paese, dove migliaia di famiglie rimaste improvvisamente senza nulla trovarono una nuova casa. Un nuovo lavoro no. Quello era sempre lì: a Chernobyl. Dopo l’incidente, provocato da un errore umano all’una e 23 minuti del 26 aprile 1986, la vita della centrale non si è mai fermata. È andata avanti come se niente fosse accaduto. In poco tempo, il più grave disastro nucleare della storia si è trasformato in un’occasione.

Ogni mattina un fiume umano si riversa sul binario uno della stazione di Slavutich. Nessuno passa dalla biglietteria, il treno è pagato dallo Stato. L’atmosfera dentro ai vagoni è spensierata. C’è chi legge pamphlet con Lenin e Stalin in copertina e chi gioca a carte. Qualcuno guarda fuori dal finestrino un paesaggio abbandonato dall’uomo dove la natura si è ripresa i suoi spazi; dove le aquile atterrano sul fiume ghiacciato e gruppi di daini fissano il treno che passa. Dall’Ucraina alla Bielorussia e poi ancora in Ucraina. È questo il tragitto che il treno compie nei 40 minuti necessari per arrivare a Chernobyl. Giunti qui si resta impressionati dalla vita che si accalca intorno al reattore. Poliziotti, operai, ingegneri. Sono migliaia le persone che da trent’anni non hanno mai smesso di lavorare alla centrale, posta nel cuore di un raggio di 30 chilometri in cui ogni attività umana è bandita per sempre. Nessuno può vivere qui né coltivare i campi o allevare animali. Eppure in questo stesso luogo un’intera città lavora per otto ore, tutti i giorni. Le protezioni sono minime così come i controlli sui livelli di radioattività accumulata posti all’uscita.

“Qui tutto è sotto controllo – spiega Stanislav Shekstelo, portavoce della Chernobyl Nuclear Power Plant – chi lavora qui firma un foglio in cui si impegna a seguire le regole di comportamento all’interno della centrale. Alla fine di ogni anno ci viene misurato il livello di radiazioni accumulato. Se hai oltrepassato il limite, è solo colpa tua”. Ma a sentire tutti, dagli esperti ai semplici lavoratori, a Chernobyl non c’è nulla di cui preoccuparsi. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) – che promuove il nucleare commerciale – il disastro uccise solo 32 persone, gli operai che per primi entrarono nel reattore per fermare la catastrofe, mentre gli irradiati sarebbero stati appena 200 e 2mila i bambini malati di cancro alla tiroide. “Il prezzo più pesante è stato quello pagato in termini di vite umane.” – spiega Julia Marusich, lavoratrice alla centrale di Chernobyl. Qui arrivarono 600mila giovani da tutta l’Unione Sovietica per cercare di limitare i danni della cata

strofe. Molti di loro sono morti dopo aver lavorato nell’impianto nucleare”.

In realtà, infatti, le conseguenze dell’incidente si pagano anche oggi. Secondo esperti indipendenti, nell’area contaminata da Chernobyl, già nei primi anni del nuovo millennio, l’85% della popolazione era ammalata. Oggi il 90% dei bambini nati nella zona ad alto rischio soffrono di patologie alla tiroide, problemi cardiovascolari e all’apparato digerente. Oltre alle mutazioni genetiche che, quindi, passano di generazione in generazione. Sono inoltre aumentati in modo esponenziale i tumori alle ossa e al cervello. In un ospedale di Kiev incontriamo Leonid Marushehenko, neurochirurgo pediatrico, che ci mostra alcune radiografie del cervello e dice: “In base ai dati raccolti nel nostro ospedale, il numero dei tumori al cervello nei bambini con meno di tre anni è aumentato di sei volte dopo il 1986”.

Il ricordo di Chernobyl però non è legato al dramma che la popolazione ha vissuto e continua a vivere. “In Ucraina tutto gira intorno all’economia – spiega Sergey Panashchuk, giornalista – di certo non ci si preoccupa dell’ambiente e della salute. Agli ucraini interessano solo i soldi, soldi, soldi”.

E Chernobyl non ha causato la perdita di posti di lavoro, anzi nel tempo ne ha creati di nuovi. Fino al 2000 la maggior parte dei lavoratori della centrale era impegnata nei reattori rimasti attivi. L’ultimo ad essere chiuso, proprio all’inizio del nuovo millennio, è stato il numero 3, quello che si trova nello stesso edificio del 4, il reattore esploso. Oggi si continua a lavorare alla manutenzione della centrale e soprattutto alla stabilizzazione dell’unità 4, la cui messa in sicurezza non sarà mai definitiva. A partire dalla fine degli anni ’90 a tutto ciò si è aggiunto un nuovo importantissimo cantiere: il New Safe Confinement. È questo il nome dell’innovativo sarcofago che andrà a ricoprire il primo rivestimento, che migliaia di uomini costruirono in poco tempo subito dopo l’incidente.

Indifferenza nei confronti del pericolo che tuttora Chernobyl rappresenta, ma anche cinismo perché questa fabbrica della morte si è trasformata negli ultimi anni anche in un luna park degli orrori. Sono tantissime infatti le agenzie turistiche che offrono, a prezzi esorbitanti, visite guidate nella zona di esclusione. L’appeal di questi tour è fortissimo, arrivano qui in Ucraina da tutto il mondo solo per andare a Chernobyl. Nel tour è completamente assente la riflessione su cosa è successo e il ricordo di chi si è sacrificato per limitare gli effetti della catastrofe. Tutto si riduce a selfie, foto in posa e sorrisi.

Un business che sembra inarrestabile e che sembra piacere a tutti: “Io, come tanti altri giovani, vorrei che a Chernobyl si costruisse un grande e lussuoso resort immerso nella natura per attirare più turisti e far risollevare l’economia”, afferma sorridente Alexandra Azarkhina, giornalista di Hromadske.tv, che incontriamo nella sua redazione in cima a un grattacielo nel centro di Kiev. Forse proprio per i tanti soldi che girano intorno a Chernobyl nessuno in Ucraina ha mai messo in dubbio l’energia nucleare, neanche subito dopo il disastro. Allora solo gli esperti conoscevano gli effetti dell’atomo, oggi si preferisce girarsi dall’altra parte.

In Bielorussia, il Paese più colpito dagli effetti di Chernobyl, proprio adesso si sta progettando la costruzione della prima centrale nucleare del Paese. Il governo autoritario di Minsk ha sempre negato le conseguenze dell’esplosione del reattore 4 sulla sua popolazione. Una popolazione che in realtà, secondo studi indipendenti, sarebbe stata decimata dal disastro. Inoltre dagli anni immediatamente successivi a Chernobyl, ricerche demografiche hanno dimostrato che la mortalità in questo piccolo Paese supera la natalità. Un fenomeno che sarebbe legato all’esposizione continuativa a radionuclidi che provocano mutazioni genetiche e effetti nefasti sulla fertilità.

Per questo il presidente Lukašenko ha lanciato un programma per incentivare le coppie a fare figli. Al terzo nato la famiglia riceve un sostanzioso premio in denaro. La propaganda passa soprattutto per enormi manifesti fotografici, come quelli che rappresentano una sorridente famiglia bielorussa formata da mamma, papà e tre bimbi che affermano orgogliosi di essere la famiglia ideale. Sullo sfondo un campo fiorito e ad avvolgerli la loro bandiera verde e rossa.

“Qui in Bielorussia ci sono villaggi che non sono mai stati evacuati ma che saranno contaminati per sempre” dice Massimo Bonfatti che – con la sua associazione Mondo in cammino – da anni lotta per far sì che i bambini colpiti da Chernobyl possano avere almeno un pasto “pulito” al giorno. “Ci sono casi in cui nei fiumi che attraversano questi villaggi è proibito pescare perché le acque sono radioattive. Ma, come per magia, non lo sono più nel paese accanto…”.

Fonte: www.imagesilfattoquotidiano.it

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