La catastrofe della Val di Stava si verificò il 19 luglio 1985 quando i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 180.000 m3 di fango sull’abitato di Stava, piccola frazione del comune di Tesero, provocando la morte di 268 persone. È tristemente famosa per essere stata una delle più grandi tragedie che abbiano colpito il Trentino in epoca moderna.

La miniera di Prestavel

È situata sulle pendici meridionali del monte Prestavel nel massiccio di Santa sovrastante la valle di Stava. Venne sfruttata in modo saltuario fin dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Nel 1934 venne accertato l’interesse estrattivo di alcuni filoni di fluorite. Venne gestita dopo la seconda guerra mondiale dalla società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi EGAM ed Eni. Dal 1980 al 1985 fu gestita dalla società Prealpi mineraria.

I bacini di decantazione

Al di sopra dell’abitato di Stava, in località Pozzole, venne costruito nel 1961 il primo bacino di decantazione, dove veniva fatto decantare il materiale di scarto della miniera. L’argine di tale bacino dai progetti iniziali che lo limitavano a 9 m, superò i 25 m. Dal 1969 fu realizzato un secondo bacino di decantazione, a monte del primo. Complessivamente, tra bacino inferiore e superiore si arrivò a circa 50 m di argine.

La catastrofe

Le cifre
La frana
  • 180 000 m³ di acqua e fango fuoriusciti dalle discariche
  • 40-50 000 m³ provenienti da processi erosivi, dalla distruzione degli edifici e dallo sradicamento di centinaia di alberi
La velocità della frana 90 km/h circa (fra 25 e 23 m/s)
L’area interessata 435.000 m² circa per una lunghezza di 4,2 chilometri
I danni alle cose
  • 3 alberghi, 53 abitazioni, 6 capannoni, 8 ponti completamente distrutti
  • 9 edifici gravemente danneggiati
  • Centinaia di alberi sradicati
  • Processi erosivi su un’area complessiva di 27 000 m²
Vittime 268 morti di cui

  • 28 bambini con meno di 10 anni
  • 31 ragazzi con meno di 18 anni
  • 120 donne
  • 89 uomini

Alle ore 12:22 del 19 luglio 1985 l’argine del bacino superiore cedette e crollò sul bacino inferiore che cedette a sua volta. La massa fangosa composta da sabbia, limi e acqua scese a valle a una velocità di quasi 90 chilometri orari spazzando via persone, alberi, abitazioni e tutto quanto incontrò fino a che non raggiunse la confluenza con il torrente Avisio. Poche fra le persone investite sopravvissero.

Dalla sentenza-ordinanza del giudice istruttore del Tribunale di Trento[1]

« Se a suo tempo fosse stata spesa una somma di denaro e una fatica pari anche soltanto ad un decimo di quanto si è profuso negli accertamenti peritali successivi al fatto, probabilmente […] il crollo di quasi 170 mila metri cubi di fanghi semifluidi non si sarebbe mai avverato. »

I soccorsi furono immediati ed efficienti ma pochissimi furono i feriti e le persone estratte vive dalle macerie: la violenza e la velocità della colata di fango non avevano concesso scampo. 267 morirono sul colpo e solo una ragazza estratta ancora in vita dalle macerie di uno degli alberghi di Stava sopravvisse per pochi giorni.

Il numero esatto dei morti del disastro di Stava fu accertato solo un anno dopo la catastrofe. Molte salme infatti non poterono essere riconosciute e fu quindi necessario ricorrere alla dichiarazione di morte presunta. Il tempo di attesa, richiesto per consentire tale dichiarazione (normalmente di 5 anni, a partire da prima dichiarazione di scomparsa) fu in questo caso ridotto con decreto legge a 1 anno[2]. Nel primo anno successivo alla catastrofe il numero delle vittime fu quindi stimato in quello delle salme riconosciute (197) più quello delle dichiarazioni di scomparsa (72), cioè 269. Un anno dopo il disastro fu possibile avere il numero esatto delle dichiarazioni di morte presunta, che risultarono essere 71. Da questo elenco venne infatti depennata la dichiarazione di scomparsa di un cittadino francese del quale non fu poi dichiarata la morte presunta.

I corpi delle vittime della val di Stava furono recuperati tutti grazie all’impegno certosino di migliaia di soccorritori che lavorarono per più di tre settimane lungo la val di Stava e lungo il torrente Avisio fino al bacino idroelettrico di Stramentizzo.

Non tutte le vittime quindi, poterono essere riconosciute. Tutte riposano oggi in 64 diversi cimiteri d’Italia e nella sepoltura delle 71 vittime non riconosciute nel cimitero monumentale delle vittime della val di Stava adiacente alla chiesa di San Leonardo a Tesero.

I soccorsi

All’opera di soccorso parteciparono oltre 18 000 uomini, di cui oltre ottomila Vigili del Fuoco volontari del Trentino e quattromila militari del 4º Corpo d’armata alpino. Primi ad accorrere furono i Vigili del Fuoco volontari di Tesero e della Valle di Fiemme. Quindi, nel giro di poche ore, tutti i corpi dei Vigili del Fuoco volontari del Trentino, numerosi corpi dei Vigili del fuoco volontari dell’Alto Adige e quelli permanenti di Trento e di Bolzano, Croce rossa, Croce bianca, personale dei Carabinieri, della Polizia di Stato, della Guardia di Finanza e del Corpo forestale, unità cinofile, sommozzatori e centinaia di volontari. Il loro lavoro venne coadiuvato da 19 elicotteri, 774 automezzi, 137 mezzi speciali, 16 gru a braccio lungo, 72 fotoelettriche, 5 battelli, 26 ambulanze, 27 cucine da campo, 144 radio portatili e 4 ponti radio. Presso il municipio di Tesero fu istituito un quartier generale della protezione civile dal quale coordinò i soccorsi lo stesso ministro per la protezione civile Giuseppe Zamberletti.

La valle vista dai soccorritori

La maggior parte delle vittime fu recuperata nelle prime ore, ma la ricerca si protrasse per tre settimane. Le salme furono composte prima nella palestra delle scuole elementari di Tesero; la camera ardente venne successivamente allestita nella Pieve di S. Maria Assunta a Cavalese. Lo straziante rito del riconoscimento continuò poi fino alla metà di agosto in ambienti climatizzati ad Egna. Tanti non poterono tuttavia essere riconosciuti. Furono quasi mille i volontari della Croce rossa italiana che si prodigarono per giorni e giorni nella pietosa opera di recupero delle salme e del loro trasporto alle camere mortuarie.

Le cause

In oltre 20 anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici cui compete l’obbligo del controllo a garanzia della sicurezza delle lavorazioni minerarie e dei terzi.

La verifica del 1975

Nel 1974 il Comune di Tesero chiese conferme sulla sicurezza della discarica. Il Distretto minerario della Provincia Autonoma di Trento incaricò della verifica di stabilità la stessa società concessionaria (la Fluormine, appartenente allora ai gruppi Montedison ed Egam), che la effettuò nel 1975. Pur trascurando una serie di indagini indispensabili, la verifica permise di accertare che la pendenza dell’argine del bacino superiore era «eccezionale» e la stabilità era «al limite». Nella sua prima relazione il tecnico incaricato della verifica sembra in sostanza affermare: «strano che non sia già caduto»[3]. Tuttavia la risposta della Fluormine al Distretto minerario e di questo al Comune fu positiva e portò all’ulteriore accrescimento che avvenne con una minor pendenza dell’argine.

«Non poteva che crollare»

La Commissione ministeriale d’inchiesta[4] e i periti nominati dal Tribunale di Trento accertarono che

« tutto l’impianto di decantazione costituiva una continua minaccia incombente sulla vallata. L’impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l’esistenza di intere comunità umane. L’argine superiore in particolare non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio. »

La causa del crollo venne individuata nella cronica instabilità delle discariche, e in particolare del bacino superiore, che non possedevano coefficienti di sicurezza minimi necessari a evitare il franamento. In particolare le cause individuate sono:

  1. nel fatto che i limi depositati non erano consolidati a causa:
    • della natura acquitrinosa del terreno su cui sorgevano le discariche, che non consentiva la decantazione dei fanghi,
    • dell’errata costruzione dell’argine del bacino superiore, che non consentiva un adeguato drenaggio al piede,
    • della costruzione del bacino superiore a ridosso del bacino inferiore: crescendo, l’argine venne a poggiare in parte sui limi non consolidati del bacino inferiore, peggiorando così ulteriormente il drenaggio e la stabilità;
  2. nell’altezza e nella pendenza eccessive del rilevato:
    • l’argine del bacino superiore aveva un’altezza di 34 metri,
    • la pendenza raggiungeva l’80%, pari ad un angolo di quasi 40°,
    • le discariche erano costruite su un declivio con pendenza media del 25% circa;
  3. nella decisione di accrescere l’argine con il sistema «a monte», il più rapido e il più economico ma anche il più insicuro;
  4. nell’errata collocazione delle tubazioni di sfioro delle acque di decantazione: sul fondo dei bacini e attraverso gli argini.

Il dopo catastrofe

Le responsabilità

Il procedimento penale si concluse nel giugno 1992 con la condanna di 10 imputati dei reati di disastro colposo ed omicidio colposo plurimo e cioè:

  • dei responsabili della costruzione e gestione del bacino superiore che crollò per primo: i direttori della miniera e alcuni responsabili delle società che intervennero nelle scelte circa la costruzione e la crescita del bacino superiore dal 1969 al 1985;
  • dei responsabili del Distretto minerario della Provincia autonoma di Trento che omisero del tutto i controlli sulle discariche.

Vennero inoltre condannate al risarcimento dei danni in veste di responsabili civili per la colpa dei loro dipendenti

  • le società che nello stesso periodo ebbero in concessione la miniera di Prestavel o intervennero nelle scelte relative alle discariche: Montedison Spa, Industria marmi e graniti Imeg Spa per conto della Fluormine Spa, Snam Spa per conto della Solmine Spa, Prealpi Mineraria Spa;
  • la Provincia Autonoma di Trento.

Al di là delle azioni e omissioni penalmente rilevanti, concorsero al disastro di Stava una serie di comportamenti che vanno oltre la sfera giuridica e si caratterizzarono principalmente nell’aver anteposto alla sicurezza dei terzi la redditività economica degli impianti sia da parte delle società concessionarie sia degli Enti pubblici istituzionalmente preposti alla tutela del territorio e della sicurezza delle popolazioni.

 

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